A un metro di distanza_parte 4

Sembra aver detto due o tre parole. Che stia cercando di mandarli via? E come fa a conoscere le loro parole se non aveva internet, radio o Tv ed è sempre rimasto isolato? Quasi mi leggesse nel pensiero, il vecchio si gira verso il sindaco, che è affianco a me.

«Cosa aspettiamo ad aprire le porte? Non possiamo lasciarli là fuori! Ci chiedono di accoglierli!» Dice, gridando. Il sindaco boccheggia terrorizzato ed io rispondo a quel vecchio pazzo.

«Non possiamo farli entrare! Loro sono gli Altri, sono i nostri nemici! Hanno ucciso le nostre famiglie ed è colpa loro se noi oggi viviamo all'interno della cerchia di mura!» Grido a causa della rabbia e dell'odio che cercano di sovrastare la paura per proteggermi.

«Finalmente qualcuno che si rivolge a me parlando a voce alta! È una vita che non sentivo la voce di un'altra persona.»

«Siete sordo?» Chiedo, stupito. Nessuno mi aveva detto che il vecchio Pietro lo fosse.

«Certo! Secondo te perché non uscivo mai di casa e vivevo da solo? Vivere senza poter sentire è terribile! Comunque cosa aspettiamo a farli entrare? Sono povera gente, non sono assassini!»

«No! Loro sono terroristi, sono malvagi! Non vedete come ghignano?» Urlo, affinché mi senta bene e non possa far finta di niente.

«Loro sorridono di gioia e di speranza, caro ragazzo!» Dice Pietro. «Loro non sono nemici. Li vedi armati, forse? Non vedi, non vedete tutti, che ognuno di loro è uguale a noi? Guardateli, avanti! Sono uomini, donne e bambini come lo siamo noi e come lo sono i nostri primi concittadini stranieri. Non ci hanno dimostrato di essere bravissime persone questi nigeriani, questi albanesi e questi egiziani che vivono tra di noi da anni? E così tutti gli altri stranieri che fanno parte della nostra città. Li abbiamo accolti e ci hanno dimostrato di essere solidali quando noi piacentini ne abbiamo avuto bisogno!»

«Ma loro sono diversi! Fuggivano da guerre oppure venivano qui per cercare lavoro.» Dice un uomo. Il vecchio Pietro scuote la testa.

«Io avevo dieci anni quando c'era la seconda guerra mondiale. E quando la mia famiglia venne uccisa dallo scoppio di una granata, fu un tedesco a salvarmi. Ebbi paura quando mi prese, perché pensavo che mi avrebbe ucciso o torturato. Non si parlava bene dei tedeschi allora, li vedevamo tutti come nazisti e bastava la vista di una loro divisa per farci pisciare nei pantaloni. Ma quel giovane uomo che mi salvò la vita e mi pagò le cure al nosocomio, era un nazista soltanto nella divisa. Il suo animo era quello di un qualunque giovane padre partito per combattere in guerra. Mi disse di ricordare sempre che non è la divisa che crea distinzioni tra buoni e cattivi, ma l'animo di una persona. La guerra mi rese orfano e mi privò quasi del tutto dell'udito, ma quel soldato mi insegnò a non badare al colore della pelle o alla provenienza di una persona. Bensì ad aiutare chi si trova in difficoltà. Per questo vi chiedo di aprire le porte. Hanno chiesto aiuto. Nessuno di loro è contagiato, sono sopravvissuti come noi. Chiedono di entrare.»

«Possono aver detto qualunque cosa. Come fate a capirli?» Chiede il sindaco.

«Perché quando ero giovane ho viaggiato e sono stato in Medio Oriente e in Africa. E qualcosa ho imparato. Tra loro vi sono Etiopi, Siriani e persone che provengono da altre terre. Voi li vedete soltanto come stranieri ostili perché non vi sforzate di dialogare con loro, bensì li accomunate ai terroristi soltanto per gli abiti che indossano e per la lingua che parlano. Forse non esistono delinquenti piacentini? O pensate che in questo contesto noi siamo i buoni e loro i cattivi per eccellenza? Non avete mai pensato che durante ogni epoca c'è stata l'inclusione degli stranieri nelle diverse etnie e nazioni? Allora perché tutta questa ostilità?»

«Perché noi non avevamo capito. Aprite le porte.» Ordina il sindaco. Lentamente, gli Altri entrano nel cuore di Piacenza. Nei loro sguardi leggo gratitudine e sofferenza. I loro denti non mi sembrano più ghignare, ma sorridere di gioia. Sembrano sfiniti, affamati e sono ancora fradici per aver attraversato il Po a nuoto. Ci mobilitiamo come possiamo per aiutarli e parliamo tra noi di tutte quelle volte in cui li abbiamo maledetti, in cui li abbiamo visti come untori e non come le prime povere vittime di una terribile epidemia. 

Le parole del vecchio e sordo Pietro hanno aperto gli occhi a chi non si era mai soffermato ad ascoltare la propria umanità sotto la coltre della paura. Lui ha continuato a farlo, invece, da quando era piccolo e il suo essere quasi completamente sordo lo ha in qualche modo protetto dalla paura, dall'ignoranza e dall'odio che dilagava di bocca in bocca e raggiungeva persino i nostri bambini. Il terrore che provavo fino a poco prima è svanito, lasciando il posto alla solidarietà.

(fine)

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