Capitolo 1 (seconda parte)

 Alle due e mezza del pomeriggio Livia mandò un messaggio al cellulare della madre dicendole che aveva finito la prova e che l'aspettava di fronte alla scuola, perciò la signora Maria e Laura salirono nuovamente in auto e andarono a prendere Livia.

Durante il tragitto Laura osservava il paesaggio che scorreva al di là del vetro del finestrino, ma non vide il falco che sembrava seguire la macchina nella quale viaggiava la ragazza. Ad un tratto il rapace descrisse un cerchio sopra la vettura per poi allontanarsi verso il folto degli alberi che costeggiavano la strada. Se Laura non l'aveva notato, sua madre aveva seguito il falco lanciando un'occhiata nello specchietto retrovisore sino a che il rapace era scomparso tra gli alberi.

Sulla via del ritorno a casa non si video più falchi né altri animali, fatta eccezione per un gregge di pecore che attraversava la strada in direzione di un ovile, e Maria non ci pensò più per tutta la sera e per gli altri due giorni seguenti sino a quando, frugando nella borsa in cerca della patente per consegnarla all'appuntato scelto che l'aveva fermata ad un posto di blocco, trovò il sacchetto di cuoio che qualcuno aveva legato alla maniglia del cancello.

Mentre il carabiniere trascriveva i dati dei documenti della donna, Maria aprì il sacchetto e prese il biglietto che vi era all'interno, lo svolse e lesse:

Staremo via qualche giorno. Torniamo presto, è solo una breve vacanza. Dà un bacio a Livia e Laura da parte nostra.

Non avrebbe detto nulla alla sua famiglia, non voleva preoccuparla oltremodo. Ogni volta che i suoi genitori, ormai anziani, partivano per una vacanza, come la chiamavano loro, lei sperava sarebbero tornati a casa sani e salvi. Data l'età di tziu Pietro e tzia Anna (lui aveva ottantaquattro anni e lei due anni in meno) Maria temeva che potesse loro capitare qualcosa, ma sperava proprio che se la sarebbero cavata bene anche quella volta.

Lei non aveva mai rivelato nulla alla sua famiglia su quella vicenda del suo passato, persino suo marito Antonio non sapeva niente di quel segreto che lei aveva giurato di custodire. Lei aveva stretto un patto e non sarebbe mai venuta meno alla parola data. Aveva solo ventidue anni quando tutto per lei si era concluso e si era dovuta rassegnare a svolgere un altro ruolo, di cui la sua famiglia non avrebbe mai saputo nulla, almeno così credeva la signora Maria.

Infatti, quell'estate sarebbero cambiate molte cose.

Quando l'appuntato scelto le restituì patente e libretto di circolazione con un sorriso, la donna li ripose nella borsa e salutato il carabiniere, lei si avviò verso il paese vicino per comperare dall'ottico le lenti a contatto di Laura. Ripensando allo sguardo inquisitore che l'appuntato scelto aveva rivolto al biglietto, che lei aveva ficcato in fretta nella borsa, Maria si chiese se il carabiniere avesse fatto in tempo a leggere qualcosa, ma si rispose che non avrebbe mai potuto distinguere cosa vi fosse scritto, perciò accantonò quel pensiero, comperò le lenti a contatto e fece ritorno a casa.

Quella sera Antonio Anedda ritornò dal lavoro con il sorriso stampato sulla faccia e un luccichio negli occhi scuri. La ditta edile dove lavorava aveva ricevuto da parte di una famiglia facoltosa di un paese vicino l'incarico della costruzione di una villa fuori dal centro abitato e il guadagno giornaliero sarebbe triplicato per ogni componente della ditta. Per questo il signor Antonio era raggiante. Invece Livia non sembrava felice a causa della tensione per la terza prova d'esame che avrebbe dovuto affrontare l'indomani mattina.

Trascorsero due settimane e Livia aveva sostenuto con successo le prove scritte e l'orale dell'esame di maturità e ormai trascorreva le giornate portandosi ovunque il cellulare, pronta a leggere il messaggio dell'amica che le avrebbe fatto sapere se gli esiti erano stati appesi o meno. 

Il sette luglio il tanto atteso messaggio di Cristina arrivò con un trillo rumoroso alle nove di mattina e Livia, che era ancora addormentata, si svegliò di soprassalto. Cercò di leggere il messaggio, ma con insuccesso perché il cellulare si spense.

«Oh no! La batteria è scarica! Proprio ora...Uffa!» esclamò la ragazza e si alzò per cercare il caricabatteria del cellulare. In quel momento entrò nella sua stanza sua sorella e le disse che aveva preparato la colazione e che erano già le nove del mattino.

«Uffa! Io sono in vacanza ora, no?» fece Livia alla sorella e messo a caricare il cellulare, lo accese.

«Sì, sei in vacanza, ma non mi va che ti alzi dopo di me! Mamma non mi ha lasciato a letto sino alle nove!» sbottò Laura.

«Ehi! Guarda che io due settimane fa ero impegnata con l'esame, se non ti ricordi!»

«Appunto, sono passate due settimane, dovresti essere ben riposata no? Tutti i giorni invece ti alzi alle nove o anche più tardi!»

«Uff! Smettiamola di litigare, okay? Da domani ti do il permesso di svegliarmi quando ti alzi tu, va bene?»

«Okay. Ora leggi il messaggio» disse Laura, indicando la bustina che lampeggiava sul cellulare della sorella.

«Cristina dice che gli esiti sono stati appesi, lei va a vederli stamattina»

«Andiamo anche noi, no?»
Livia annuì e andò in bagno a lavarsi. Dopo una mezz'oretta era in cucina con indosso i jeans sino al ginocchio e una canottiera rossa e stava sorseggiando il tè che aveva riscaldato. Prese le chiavi della macchina della madre, la propria patente e chiamò la sorella.

Uscirono insieme e attraversarono il giardino per uscire in strada, dove la macchina era parcheggiata, sentirono un verso stridulo, ma intenso.
Le ragazze sollevarono lo sguardo e videro un falco, si guardarono l'un l'altra e salirono sull'auto.

«Guarda! C'è un falco!» disse Laura.

«Sì, è proprio bello. Ha un qualcosa di nobile, non trovi?»

«Già... Aspetta, rallenta un po'»

«Perché?»

«No, è che... mi è sembrato che avesse qualcosa legato a una zampa!» disse Laura.

«Ma dai! Non è di certo un falco pellegrino, con un messaggio per il padrone! Non siamo mica nel Medioevo...»

«Hai ragione... eppure mi è sembrato...»

«Sono proprio curiosa di vedere quanto hanno preso le due sorelle io studio a memoria»

Le due ragazze iniziarono a parlare della scuola, dei probabili risultati dell'esame e di quanto fosse preoccupata Laura per l'anno successivo, dato che il suo professore di latino aveva chiesto il trasferimento; per questo non poterono osservare meglio il falco, che era volato più in alto e che, come aveva intravisto Laura, portava un sacchetto di cuoio legato alla zampa destra. Il rapace si era posato sulla quercia del giardino di via Torino numero 7 e tese la zampa verso Maria, che cautamente sfilò il sacchetto.

«Cosa mi hai portato tu stavolta? Stanno bene?» chiese la donna, guardando il falco negli occhi ambrati, ma il rapace si limitò a emettere il suo verso stridulo. La madre di Livia estrasse un biglietto, questa volta più piccolo di quello che aveva trovato legato alla maniglia del cancello e lesse: 

Tuo padre non sta bene. Siamo rientrati ieri. Vieni a casa stasera.

«Accidenti!» commentò la signora Maria e si precipitò dentro casa, afferrò la cornetta del telefono e compose un numero di cellulare.

«Mamma? Ciao, allora, come state?»
«Non molto bene. Hai ricevuto il messaggio?»
«Sì, me l'ha consegnato ora. Ma...perché non hai usato il cellulare?»
«Come potevo? Lo sai che non è un...fatto comune. E poi l'ha chiesto tuo padre. Avresti capito subito di cosa si trattava.»
«Va bene, ma...oh, si riprenderà?»
«Non subito, ma tra qualche tempo starà meglio.»
«Vado da voi?»
«Sì»




(Tratto da R. Serra, "I Guerrieri di Nur", pp. 14-18, edito da "La Riflessione", 2009)




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