Capitolo 2

 

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Lego i miei capelli ribelli con il fermaglio che porto sempre al polso e fisso lo schermo del computer. Mi incanto alla sveglia appesa alla parete davanti a me mentre aspetto che parta una nuova chiamata. Le cuffie non mi proteggono dal vociare dei miei colleghi in sala, mentre il software ricerca un nuovo cliente a cui dovrò proporre un abbonamento di una compagnia telefonica. La ragazza punk a fianco a me, assunta solo il giorno prima, sta convincendo un'anziana signora a prendere la carta d'identità per procedere con la raccolta dati e non smette di arrotolare al dito indice il suo ciuffo blu elettrico mentre un altro punto e mezzo sta per andare ad aggiungersi alla sua lista mensile. Mi guardo intorno e vedo che le mie colleghe sono impegnate in chiamata. I miei colleghi sono appiccicati al vetro delle ampie finestre dell’ufficio, e mormorano commenti eccitati su un’auto costosa parcheggiata qua davanti. Mi chiedo cosa ci trovino nelle auto, i maschi. 

Finalmente qualcuno risponde al mio software di chiamata. Coraggio, Nina! - mi dico mentalmente - Questo qui farà il contratto! Mi presento gentilmente e il mio cliente mi chiede di richiamarlo alle 13 perché sarà in pausa pranzo. Quando arriva l'ora concordata, trovo il telefono spento, mentre dal tavolo in cui i miei colleghi stanno pranzando sento provenire nuovamente commenti sull’auto costosa.

-          Era una Bugatti da 220 cavalli, ne sono sicuro! – dice Salvo.

-          Non era da 220! Era una Concept e ne ha almeno 300, fidati…. – commenta Kikko. Ma come fanno a sapere e ricordare tutte quelle cose sulle auto? Mi giro e vedo che si sta pulendo i denti con un’unghia. Oddio, che schifo. Meglio continuare a chiamare il mio cliente e accidenti a lui, perché non risponde?

-          Ho sentito dire che è l’auto di un notaio – Commenta Francesco. – Pare che sia tra i più ricchi della città

-          Sì, il notaio Marchi. Ha sbrigato lui la successione del nonno della mia ragazza. Ho mandato io l’email con alcuni documenti, perché i miei suoceri non hanno un pc. – Dice Antonio.

-          Enrico Marchi? Il padre di Luca? – chiede Kikko. Luca. Come il fratello del mio ultimo ex. Distolgo la mente dal pensiero di quella pessima relazione e riprovo a chiamare quel cliente che deve essersi dimenticato di me!

Riprovo ogni quarto d'ora al suo cellulare, tra una chiamata e l'altra ad altre persone che me ne dicono di tutti i colori, per giunta in diverse lingue! La pausa pranzo è finita e io rinuncio a fare un ultimo tentativo a quel cliente, imposto il software per richiamarlo l’indomani e mi tolgo le cuffie. Ho una fame! Sbuffo e il mio responsabile, che sta circolando tra le postazioni per motivarci, mi lancia un'occhiata. So bene che ho solo 8 contratti fatti e siamo già al 15 luglio, ma penso proprio che il lavoro al call center non faccia per me! Maledetto il giorno in cui ho dato retta alla mia amica Veronica e ho inviato il mio curriculum in risposta a quell'annuncio! Mi ero laureata da due mesi e non riuscivo a trovare un lavoro, perché nessuno sembrava voler assumere una ragazza di ventisei anni, fresca di studi umanistici e carente di esperienze lavorative. Avevo dedicato la mia vita soltanto allo studio, convinta che un pezzo di carta in più oltre al diploma, mi avrebbe aperto la strada verso un lavoro fisso. Mi sbagliavo! Ero troppo timida, motivo per cui non mi sentivo a mio agio nel propormi per lavori a contatto diretto col pubblico e in altri lavori richiedevano almeno sei mesi o un anno di esperienza precedente. Ma un giorno, Denise mi telefonò e mi disse di aver fatto un colloquio in un call center, di pensare di aver fatto una buona impressione e mi spinse ad inviare il mio curriculum così, se avessero preso anche me, avremmo lavorato insieme. Mi lasciai incoraggiare dal suo entusiasmo e feci come mi suggeriva. Inviata l'e-mail, fui contattata il giorno stesso per recarmi al colloquio l'indomani mattina. Ovviamente, nella speranza di avere finalmente uno stipendio tutto mio, mi misi d'impegno per fare anch'io la mia buona impressione al responsabile del call center, Francesco. Due giorni dopo venni richiamata per firmare il contratto. Ma Denise no. Panico. Non sapevo se accettare, firmare e fare la settimana di prova, oppure assecondare l'ansia, tirare fuori una patetica scusa e rinunciare ad un'opportunità. Mi buttai. Firmai e finii con il superare la settimana di prova, il primo mese e così via fino a luglio. Sette mesi di lavoro. Non l'avrei mai pensato. Tuttavia, da due mesi la mia produzione è calata a causa della mia scarsa propensione alla vendita. Inoltre, l'assunzione, qualche giorno fa, di due ragazzine di 19 anni, fresche di diploma e spigliatissime, ha messo in crisi la mia autostima vacillante.

Mi tolgo le cuffie e mi fiondo del piccolo bagno accanto all'ufficio. Mi chiudo dentro, mi lavo la faccia con l'acqua fredda e poi esco. Non ce la faccio più. Non sono portata per questo lavoro! Mi fermo per pranzare da sola, visto che i miei colleghi hanno pranzato all’una e mezza. Una volta finita la mia insalata di riso, ritorno al mio posto, mentre il mio capo accoglie in ufficio un ragazzo mai visto per fargli il colloquio. Sappiamo tutti che significa: il capo si appresta a licenziare uno di noi. Mi sistemo le cuffie, faccio ripartire il software e ascolto le solite segreterie e nel frattempo squadro quel giovane. Ho l’amaro presentimento che quel ragazzo seduto là verrà assunto al mio posto, inconsapevole che la sua contentezza sarà causa indiretta della mia futura depressione.

-          Nina, non pensarci! – Mi dice la mia collega Martina, che è seduta affianco alla mia postazione. – Francesco potrebbe darti un’altra possibilità. Non è detto effettui un taglio di personale solo perché sta facendo il colloquio a quello schianto laggiù. –

-          Marty, ho solo otto contratti e otto punti sull’obiettivo di venticinque punti mensili, lo sai. Non dire cazzate. Mi licenzia, me lo sento. –

-          Sei troppo pessimista, Nina cara! – Commenta, col suo classico tono mellifluo. Facile per lei, che non ha problemi né di autostima, né in chiamata. È fluida e decisa e abboccano tutti al suo script di vendita. Non ho ancora capito come faccia!

Ad ogni modo, a fine turno vengo chiamata in ufficio e mi viene notificata la notizia di licenziamento con preavviso di quindici giorni. Esco dall’ufficio di Francesco con aria mogia, la mente triste e le gambe pesanti che sembrano non voler più reggere i miei cinquanta chili. Improvvisamente mi viene da piangere e mi fa male la gola, segno che sto trattenendo un attacco di ansia. Sento gli occhi di tutti i colleghi addosso, anche se probabilmente si tratta soltanto di uno scherzo mentale e vado alla mia postazione per prendere la borsa. Esco correndo dall’ufficio e mi fiondo giù per le scale, sapendo che Francesco non cercherà di fermarmi.

Da agosto sarò di nuovo disoccupata. Questo pensiero blocca la mia mente e i miei passi. Mi accovaccio sugli scalini e mi ficco gli auricolari nelle orecchie. Premo play dall’App MyMusic e mi lascio trasportare lontano dalla musica, ma la mia mente non ce la fa e scoppio a piangere.




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