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Capitolo 4. L’incontro con i Guerrieri
Erano le undici di notte
e Cornelio Carta si trovava ai piedi del nuraghe Diana. Il mastio dell’antico
monumento sembrava ancora più imponente e carico di mistero grazie ai giochi
d’ombra creati dalla luce della luna piena. Quella notte il vento sferzava
gelide folate e Cornelio si strinse nel suo giubbotto. Fece un respiro profondo
e l’aria uscì dalla sua bocca disegnando un denso ghirigoro che scomparve verso
l’alto. Il freddo era davvero pungente. Cornelio allungò una mano verso una
delle grandi pietre che formavano il mastio e le voci di antiche genti gli
parlarono ancora:
«Beh, la luna è alta e la Jana sarà qui a momenti,
Livia. Dobbiamo entrare nel nuraghe.» Disse Giovanni, prendendo per mano Livia.
«Buona fortuna con il basilisco, Cornelio». Detto questo, la coppia scomparve
dentro il nuraghe, lasciando Cornelio da solo.
«Cornelio Carta sei venuto a trovarci ancora. Ascoltaci.
Noi siamo il ricordo di chi abitava questo villaggio. È bello che tu sia
tornato ad ascoltare la nostra eco. Siamo soli e dimenticati, le nostre ossa
giacciono in casse nei magazzini dei musei, mentre i nostri oggetti quotidiani
vengono sparsi qua e là dentro le teche dei vostri musei. Voi non conoscete i
nostri nomi, né gli avvenimenti che vivemmo, ma con presunzione e speranza i
vostri ricercatori cercano di ricostruire la nostra storia per la loro stessa
gloria. Sono più interessati ai nostri oggetti che alla nostra memoria. Pochi
tra loro pensano alle nostre vite e si interrogano sui nostri nomi. Ma tu sei
qui. Tu hai bisogno di noi. Tu saresti un ottimo Guerriero, ma non sei
destinato a proteggere la nostra Nur. No, tu sei il prescelto per distruggere
per sempre lo Scultone che abita questo luogo. Nemmeno Heganur, il nostro Custode,
ha potuto eliminarlo. Lo Scultone teme solo te. Nelle tue vene scorre il sangue
dell’uomo che gli diede rifugio e che lo trattò come un animale divino. Ma
verso tutti gli altri, questo serpente è malvagio e protegge i suoi tesori.»
Le parole degli antichi abitanti di quella terra fecero rabbrividire
Cornelio, che staccò la mano dalla pietra. Il contatto si interruppe. Secondo quelle
anime, lui era un discendente della persona che aveva adottato la creatura
leggendaria come fosse un animale domestico. Forse per quella persona lo
Scultone, il basilisco, rappresentava un animale insolito e quindi meritevole
di cure e affetto? Mentre questa domanda prendeva forma nella sua mente e il
pensiero di una sorta di enorme drago lo affliggeva, Cornelio sentì le voci di
un ragazzo e di una ragazza.
«Giovanni, aspetta!»
«Livia, muoviti! La Jana sarà qui non appena la luna sarà alta!»
«Ma quello chi è? Cosa ci fa qui?»
«Shh! Lascia fare a me e stammi vicino.»
Man mano che i due parlavano e si avvicinavano al nuraghe, Cornelio poté
vederli meglio. Il ragazzo poteva avere circa trent’anni ed era più alto di lui
e aveva un fisico possente. Sicuramente faceva pesi in palestra. Cornelio lo
invidiò per un momento. La ragazza invece, doveva essere sui vent’anni e la
tuta che indossava lasciava intravedere un fisico tonico.
«Come sapete della Jana?» Chiese Cornelio ai due ragazzi.
«Tu chi sei?» Chiese il ragazzo. La ragazza lo squadrò e il suo sguardo
dagli occhi scuri e curiosi si illuminò.
«Tu sei Cornelio Carta!» Esclamò.
«Ci conosciamo?» Chiese Cornelio, incuriosito. In effetti, la ragazza aveva
un’aria familiare. Aveva il viso ovale, la fronte bassa, e lunghi capelli
scuri. L’aveva già vista da qualche parte.
«Sì, certo! Sei un laureando del professor Cocco! Io sto facendo la tesi
con Lorenzini, in storia medievale.»
«Livia Anedda! Ora ricordo! Sì, hai passato l’esame di letteratura latina con
30 e lode, mi ricordo!»
«Esatto! Il mio ultimo esame prima della laurea - » commentò Livia.
«Ehm, vedo che vi conoscete e che tu al solito, amore, ti dimentichi di
presentarmi. Io sono Giovanni, il ragazzo di Livia. Piacere.» disse il ragazzo,
allungando una mano verso Cornelio.
«Piacere mio! Allora, come fate a sapere della Jana?» chiese Cornelio. I
due giovani si scambiarono uno sguardo complice.
«Io e Giovanni siamo due dei sette Guerrieri di Nur. È una lunga storia da
raccontare ora su due piedi, ma è cominciata - » disse Livia, ma Giovanni la
interruppe.
«Tutto è cominciato nel 2009, l’anno in cui Livia si è diplomata. Una Jana
voleva impadronirsi dell’isola e l’antico Custode che protegge la Sardegna - »
«Aspetta, amore, così lo confondi.» intervenne Livia. «La Sardegna,
chiamata Nur millenni fa, è protetta da un Custode di nome Heganur.»
«Ah ecco chi è. Lo hanno nominato prima le anime degli abitanti del
villaggio che stava qui» commentò Cornelio.
«Parli con loro?» chiese Giovanni. Livia lo fulminò con lo sguardo,
impaziente di finire la sua spiegazione a Cornelio.
«Heganur prima di morire fondò un gruppo di sette Guerrieri con la missione
di proteggere Nur dagli attacchi delle Creature che cercano di impadronirsi
dell’isola. La missione è stata tramandata nei millenni, fino a oggi. Io,
Giovanni, mia sorella Laura e quattro nostre amiche siamo i Guerrieri odierni.
Stiamo cercando la Jana perché ha un’informazione da darci.»
«Io cerco la Jana perché…beh qui sotto al nuraghe c’è uno Scultone e io
dovrei ucciderlo - »
«Noi non possiamo aiutarti in questo, quindi il prescelto sei tu. Heganur
ce lo ha detto qualche settimana fa, ma non avrei mai pensato di incontrarti.
Né avevo idea fossi tu, Cornelio!» disse Livia.
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