CAPITOLO 2. La Jana
Quella prima Domenica di Gennaio Cornelio Carta venne svegliato dal caldo
profumo delle pabassinas che sua madre stava sfornando. Immaginò
l'avvolgente aroma del caffè e il gusto dell'uvetta passa di quei dolcetti
mescolarsi nella sua bocca e gli venne l'acquolina! Si alzò e dopo aver fatto
la doccia scese al piano terra e si fiondò in cucina, dove trovò la caffettiera
posizionata sul fornello e sua madre intenta a disporre i dolci in piccoli
cesti fatti a mano da sua nonna.
Il ragazzo guardò fuori dalla finestra mentre la caffettiera fischiava.
L'aroma del caffè si diffuse per la piccola cucina, mentre il maestrale
soffiava forte e sollevava in aria le ultime foglie di un vecchio castagno
piantato nel giardino. I rami spogli dell'albero erano rivolti verso l'alto e
ondeggiavano ad ogni soffio di vento. Cornelio sorrise, mentre il vento si
calmava di intensità e due foglie andavano ad appoggiarsi sul vetro della
cucina.
Il giovane ne osservò le venature, che stranamente gli parvero muoversi
sino a formare un volto. Cornelio fu
affascinato da quella insolita conformazione naturale e si avvicinò al vetro,
sino ad appannarlo leggermente con il respiro. Le venature della foglia
sembravano davvero un viso femminile. Cornelio riusciva a vedere il disegno
della fronte, dei capelli lunghi, delle palpebre con le ciglia lunghe, persino
il naso sottile, la bocca piegata in un sorriso e le orecchie, beh, le orecchie
sembravano a punta come quelle di un elfo, ma il giovane non ci fece molto
caso: dopo tutto si trattava di una foglia e non poteva aspettarsi molto, no?
Si stupì nell'ammirare quell'insolita disposizione naturale delle venature,
tanto quel volto pareva reale.
Sua madre gli versò il caffè nella tazzina, con due gocce di latte e due
cucchiaini di zucchero, come piaceva a lui. Il giovane si allontanò dalla
finestra e si gustò il caffè, mentre le foglie venivano trascinate via da una
forte folata di vento.
«Hai già finito il capitolo di tesi che devi consegnare Martedì a Cocco?»
«Sì, ma’, ho fatto tutto! Non vedo l'ora di sapere se il secondo capitolo
va bene, così posso proseguire tranquillo!»
«Meno male che il tuo relatore è uno di quelli che seguono bene i propri
laureandi! Sono sicura che farai un ottimo lavoro!»
«Ne sono sicuro anche io! Per la triennale mi ha seguito alla perfezione...
Mhmm...Ottime le pabassinas, come sempre! Vado in vigna da papà, adesso,
così lo aiuto a disinfettare le viti con la calce. Ci vediamo a ora di
pranzo!».
Cornelio mise in moto la sua Golf grigia e si avviò verso la vigna. Quella
mattina era di buonumore e si sentiva sicuro del fatto che il 2016 non poteva
iniziare meglio. Aveva trascorso delle belle festività di Natale con i propri
parenti e uno splendido Capodanno insieme alla propria ragazza e ai loro amici.
Era trascorso quasi un mese dall'incontro con s'Ammutadori e il giovane
studente universitario sembrava essersene dimenticato, così come si dimentica
un brutto sogno. Si era dimenticato perfino del libro scritto dai suoi
antenati, cacciatori di leggende e di tesori, che prima di lui avevano scoperto
la verità su cui si basavano i racconti
degli anziani. Aveva rimosso, non completamente a dire la verità, la
rivelazione dell'esistenza di una creatura chiamata Scultone o Scrutzoni, che
era una sorta di drago o di basilisco che custodiva un tesoro. Cornelio,
secondo suo nonno, era il predestinato a sconfiggere questo essere e per
proteggere il nipote gli aveva donato una medaglia devozionale abrebada, cioè
benedetta con formule magiche popolari, da una vecchia. La medaglietta
fungeva da scudo contro le armi letali della creatura leggendaria: lo sguardo
che pietrificava e il fuoco che spirava dalle narici e dalla bocca. Il nonno,
morto quando Cornelio aveva circa dieci anni, si era messo in contatto con lui
tramite l'incubazione, un'antica pratica di comunicazione con i defunti che
avveniva in sogno.
La notte trascorse e giunse il fatidico Martedì. Cornelio si recò a
Cagliari e il suo relatore, il Professor Erminio Cocco, gli consegnò il terzo
capitolo di tesi e ritirò le pagine corrette del precedente. Mentre il ragazzo
percorreva l'andito e passava davanti allo studio di un Professore provò una
strana sensazione. Un freddo improvviso lo avvolse, risalendo dal fondo dello
stomaco verso i polmoni. Un freddo insolito, provocato dal gelo dell'ignoto e
dell'invisibile.
Cornelio sentì una porta aprirsi e dallo studio uscì una ragazza. Il gelo
scomparve non appena lei incrociò lo sguardo del ragazzo e lui ebbe la
sensazione di averla già vista. Era probabile, ovviamente. Poteva trattarsi di
una laureanda e Cornelio poteva averla incontrata in biblioteca. Ma quando lei
gli passò accanto, lui ebbe di nuovo quel brivido e si fermò, osservandola
camminare verso l'uscita della Facoltà, con i lunghissimi capelli neri
ondeggiare sulle sue anche ad ogni passo. Per tutto il giorno, Cornelio pensò a
quella studentessa. Non riusciva a togliersi dalla testa il suo sguardo dagli
occhi scuri, le lunghe ciglia sottili, le labbra decise piegate nel sorriso di
chi sa e non vuole dire. La corporatura esile, ma sensuale. Le mani esili e
affusolate. Il collo sottile ed aggraziato. E, soprattutto, quel modo di
camminare che per un attimo gli era sembrato innaturale. Cornelio aveva avuto
la sensazione che la giovane gli fluttuasse accanto, quasi fosse sopra una
scala mobile. No, no, aveva troppa immaginazione.
Quando incontrò il suo amico Davide, Cornelio gli raccontò di quella
ragazza e il giovane cagliaritano scoppiò a ridere, divertito.
«Amico, se lo viene a sapere Patrizia che mi stai parlando di un'altra
ragazza, ti uccide!» Commentò. Patrizia Nonnis era la ragazza di Cornelio da
due anni. Aveva ventitré anni, occhi verdi, capelli castano chiaro ed era
particolarmente gelosa. Davide e gli altri amici di Cornelio l'avevano reputata
subito simpatica, ma poi con il passare del tempo la ragazza si era rivelata
gelosa e poco disponibile alle uscite in gruppo. Insomma, Davide si chiedeva
come mai l'amico ci stesse ancora insieme. Per questo, quando Cornelio gli
parlò della misteriosa ragazza dai lunghissimi capelli neri, il ragazzo ne fu
sollevato. Comincia a guardarsi attorno, bene, pensò.
I due amici si avviarono a piedi verso la Biblioteca del Dipartimento di
Archeologia, nella Cittadella dei Musei, perché Davide doveva restituire un
libro. Una volta usciti da lì proseguirono verso il quartiere di Castello,
diretti alla Biblioteca Universitaria dove Cornelio doveva prendere in prestito
un volume per scrivere il prossimo capitolo di tesi.
Mentre camminavano per le vie di Castello diretti oltre la Cattedrale, il
cielo si rabbuiò all'improvviso e cominciò a piovere tantissimo. I due studenti
si rifugiarono dentro la Cattedrale e appena la pioggia diminuì ripresero il
cammino senza accorgersi di essere seguiti.
Continuò a tuonare e il cielo si fece ancora più buio, mentre un lampo
colpì una casa disabitata. I vetri dell’edificio scoppiarono in modo fragoroso
e un’anta rimasta intera si aprì verso la stradina, facendo fermare i due
ragazzi. Nel vetro sporco di polvere e ragnatele, Cornelio scorse il riflesso
del passante dietro di loro. Si voltò e la riconobbe. Era lei. Era la ragazza
dai lunghi capelli neri. Il suo volto era il ritratto vivente di quello creato
dalle venature delle foglie di castagno che Cornelio aveva osservato qualche
mattina prima appoggiate sul vetro della cucina di casa. Mentre il giovane
ripensava a quelle foglie e si chiedeva chi fosse la ragazza, Davide cadde a
terra svenuto e Cornelio pensò che gli fosse venuto un malore. Si chinò
sull'amico, chiedendo alla sconosciuta di chiamare un'ambulanza, ma la ragazza
sollevò le mani in alto e Davide levitò, in posizione supina.
«Cosa sta succedendo?»
«Cornelio Carta... Io sono la Jana di Castello, dovresti aver sentito parlare
di me. La mia è una triste storia, che ti racconterò quando mi porterai il
telaio che mi fu rubato dal pirata.»
«Che telaio? Quale pirata? Perché io?»
«Il mio telaio d'oro. Per ora sappi che me lo rubò un pirata e lo seppellì
con altri oggetti d'oro nel nuraghe Diana, a Quartucciu. Sfortunatamente, in
quel luogo si era insediato uno Scultone, un basilisco diresti oggi, e non mi è
mai stato possibile recuperarlo. Posso controllare gli uomini, ma non le altre
creature. E lo Scultone è un essere molto antico e molto forte. Mi è giunta
voce che tu sei il Prescelto. Trova lo Scultone e portami il Telaio.»
«Non lo farò. Io non sono il Prescelto.»
«Tu lo sei e lo farai, oppure Davide morirà. Hai tre lune di tempo per
riuscire nella tua impresa.»
La Jana schioccò le dita e scomparve. Davide smise di levitare e si
risvegliò, mentre Cornelio si sentiva disperato davanti a un'impresa che non
sapeva da che parte cominciare.
Quella stessa notte, Cornelio si addormentò pensando a suo nonno.
Voleva incontrarlo in sogno per chiedergli cosa fare.
E suo nonno glielo disse.
Fai ricerche sul nuraghe Diana, ma sta' attento al fantasma.
Sempre più avvincente!!!
RispondiEliminaTi ringrazio! Non perderti il prossimo racconto! :)
EliminaAdoro questa storia, non vedo l'ora di leggere il 3 capitolo!
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